Facciamo un salto nel tempo, addirittura ad inizio secolo scorso per la precisione.
Immaginatevi Parigi nel 1905, le sue strade piene di artisti, eventi mondani e quella voglia di modernità forse dovuta anche dall’ingombrante peso recepito dalla Torre Eiffel, terminata 16 anni prima e non più smantellata nonostante le critiche di molti parigini riguardo quella costruzione metallica creata per l’esposizione universale.
Da lì a poco sarebbe scoppiata la Prima guerra mondiale.
Non molto lontano dal monumento descritto qualche riga fa, oggi divenuto il simbolo della ‘Città delle luci’, ebbe luogo il rinomato “Salon d’automne”, ideato due anni prima da un lungimirante belga coadiuvato da una cordata di pittore francesi e svizzeri.
Non fu un semplice ‘autunno’ ma la primavera di un nuovo genere rivoluzionario.
Vennero esposte delle nuove opere tra i grandi classici del tempo, un innovazione feroce, d’attacco, che fece sussurrare ad un famoso critico d’arte che delle “belve”, dei “selvaggi” si fossero impadroniti del Salone.
Le Fauves avevano colpito l’obiettivo nonostante le dure critiche piombate da ogni lato.
Un gruppo di artisti che non divennero mai movimento, con solo quasi un lustro di attività, furono determinanti per la nascita di nuovi albori e mete artistiche meravigliose come il Cubismo.
Matisse, Derain, Camoin, vantarono la possibilità, l’esposizione, ad un pubblico molto esigente le loro opere, tracciate con dei colori di tonalità molto accesa, un vero addio al chiaroscuro come impostazione fondamentale di un quadro.
L’unico contrasto ammesso involontariamente da quei pittori fu quello di essere da spartiacque tra movimenti in decadenza e nuove filosofie d’arte.
Braque, Picasso, solo per citare i più famosi, rimasero fuori da questo contesto, probabilmente per cause ideologiche.
Un pugno di pittori avversi alla logica impressionista, senza una costruita critica sociale o politica determinata, solo semplificazioni delle figure e tubetti spremuti direttamente su tela.
Un incontro tra i colori ordinati e spessi di Van Gogh e la tempesta emotiva, a volte scomposta, di Turner.
Henri Matisse dipense nel 1906 la “ Gioia di vivere”, forse il quadro più ambizioso in epoca fauve.
Nudità, abbracci lussuriosi e natura colorata in maniera primitiva risaltano in questa tela intramontabile, contiene persino l’anticipazione della “La danza” , un altro suo capolavoro degli anni a seguire.
Tutti contenuti atti a risaltare il concepimento di opere dentro a delle idee in movimento, riti ancestrali della mente o studiati profondamente da lontane tribù africane, seguite successivamente da Picasso e da altri pittori.
Le “bestie”, i “selvaggi”, le fauves, questo “non movimento” d’arte durò solo pochissimi anni ma bastò per erigerli ad un espressionismo d’avanguardia e da scuola per tutto il settore artistico del novecento.
Le bestie ruggirono di vita, ruggirono di novità, ruggirono di colore.
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