Titina Maselli
nasce a Roma l’11 aprile 1924
in una famiglia ben inserita nel clima artistico e culturale della Capitale: grazie al padre e critico d’arte Ercole Maselli, la sua casa d’infanzia, in via Sardegna, è frequentata stabilmente da personaggi come Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Paolo Monelli, Alberto Savinio ed Emilio Cecchi.
Tra gli altri figurano anche Renato Guttuso, Renzo Vespignani, Alberto Moravia ed Elsa Morante.
Quando la zia Olimpia sposa uno dei figli di Luigi Pirandello, Stefano, quel circolo culturale si allarga ancora, includendo i nuovi cugini.
È anche grazie alla familiarità con quest’ambiente sensibile all’arte che Titina, dopo aver terminato gli studi classici, si dedica alla pittura.
Ad appena vent’anni vende il suo primo quadro a un noto collezionista torinese, Riccardo Gualino. Nello stesso periodo, frequentando l’ambiente artistico romano, conosce il pittore Toti Scialoja con cui si sposerà nel 1945.
Il matrimonio però non funziona e si interrompe poco dopo: «troppo simili e tanto diversi per durare», dirà Gino Marotta, artista vicino a Scialoja.
Tre anni dopo, nel 1948, Titina tiene la sua prima mostra personale alla Galleria L’Obelisco di Roma.
Il suo esordio, presentato in catalogo dallo scrittore Corrado Alvaro, viene accolto positivamente dalla critica dell’epoca. Emerge già la ‘radicalità’ dei suoi dipinti che in quell’occasione, come ha osservato Arianna Di Genova, erano popolati da «un telefono, una macchina da scrivere e una cartaccia arrotolata. Era quello il suo (iper)realismo».
Sin dalle prime opere della seconda metà degli anni Quaranta, emerge una ricerca personale che, nonostante la coerenza, si rinnoverà continuamente, ricevendo per questo un deciso apprezzamento anche nel panorama internazionale.
Il suo interesse si concentra sui luoghi della vita collettiva, sulle città, sulle strade, sugli stadi, con un’impostazione diversa dall’espressionismo della Scuola Romana o dal realismo sociale, ma affine al lessico futurista.
I suoi quadri attraggono critici e giovani artisti anche perché, secondo Renzo Vespignani, comunicano «il disagio e le passioni di una generazione ancora acerba, ma già provata dalla paura e dalla disperazione».
In effetti la sfida continua di tutta la vita di Titina è quella di cogliere l’essenza tragica, ma anche vitale della società contemporanea e di trasmetterla sulla tela grazie all’invenzione di un linguaggio nuovo.
Nel 1950 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia (ci tornerà nel ’54, nel ’56, nel ’64 e nell’84), dove espone Giocatore ferito, dello stesso anno, mentre nel 1951 è presente con quattro opere alla VI Quadriennale di Roma.
Nel 1952 si trasferisce a New York dove risiede fino al 1955.
Quel soggiorno lascerà un tracciato indelebile nella sua arte.
La Manhattan dell’epoca rappresenta per l’artista una vera e propria epifania: come ricorda Sabina de Gregori, «per lei la metropoli statunitense offre la possibilità di spingere al limite estremo le esperienze romane: ai palazzoni ottocenteschi si sostituiscono i grattacieli, mentre ci si imbatte in forti e violenti neon, anziché nelle fioche luci delle notti italiane.
La Maselli acquista qui la modernità che nei suoi dipinti romani si intravedeva soltanto».
In questo periodo, mentre sotto la suggestione della metropoli approfondisce tali tematiche in opere come Notturno e Titolo IV del 1954 o Treno sotterraneo del 1955, l’artista tiene due importanti personali alla Durlacher Bros Gallery.
A testimonianza della risonanza che la sua attività continua a suscitare a Roma, nel 1955 Plinio de Martiis espone un imponente quadro che Titina aveva appena dipinto a New York, Camion, in una collettiva alla Galleria La Tartaruga.
Una tela che suscita prima sorpresa e poi invidia da parte degli altri partecipanti, per il soggetto che rappresenta, ma soprattutto per lo stile.
Si tratta di un camion che viaggia nel buio della notte, ripreso dal punto di vista di un guidatore d’auto che lo segue da vicino; un’inquadratura diversa da cui guardare la nuova realtà urbana.
Tuttavia il lungo soggiorno americano le fa anche comprendere, per sua stessa ammissione, che mentre «gli americani s’interessano solo a dipingere l’oggetto in sé», lei intende invece «dipingere i conflitti» e cogliere l’«anonimato urbano».
Nonostante l’imminente affermazione della Pop Art e la conseguente lieve assimilazione di quel lessico, Titina sceglie infatti di ribadire la sua autonomia.
Si affranca dalle tendenze del momento e sceglie un suo linguaggio fortemente autonomo che la spinge a raccontare la città non attraverso le immagini, bensì raffigurandone le emozioni, il dinamismo, ma anche la solitudine e l’alienazione che la serialità della metropoli moderna produce nei suoi abitanti.
Un linguaggio, memore del Futurismo, che riproduce questi contrasti in una sorta di istantanea.
Nelle sue tele newyorkesi, secondo Achille Bonito Oliva, «l’istante urbano è colto attraverso immagini che riproducono la sensazione del presente, la memoria del passato e l’impressione di una futura velocità che sintetizza dentro di sé spazio e tempo, rallentamento e accelerazione».
Tra il 1955 e il 1958 soggiorna in Austria; qui, in una condizione di isolamento, si concentra in una ricerca accanita sul colore.
Nel 1958, appena rientrata a Roma dove rimarrà per tutti gli anni Sessanta, Cesare Vivaldi la presenta in una personale alla Galleria La Salita.
La sua pittura si caratterizza in questo periodo per la raffigurazione con colori forti di frammenti di oggetti quotidiani fissati in fotogrammi.
Dal 1960 le sue rappresentazioni, sempre più fredde e piatte, sono costruite su piani bidimensionali e con colori antinaturalistici.
Anche dopo il ritorno a Roma, Titina continua a esprimere la modernità non in modo letterale, ma attraverso un lessico allusivo, riproducendo i luoghi attraverso simboli rappresentati dagli scambi dei filobus, dalle grandi strade, dai palazzi o dalle scritte al neon; oggetti capaci di restituire una percezione emotiva più che una vera e propria raffigurazione della città.
Quadri come Camion del 1960 e Palazzo e semaforo del 1963 sono emblematici in tal senso.
Nel 1960 espone per la seconda volta alla Galleria L’Obelisco dove presenta tele come Calciatori in azione del 1959 e Comincia la giornata del 1960.
Al 1965 risale la prima ampia antologica dei suoi lavori presso la Nuova Pesa di Roma, con in catalogo testi critici di Duilio Morosini, Renato Barilli ed Enrico Crispolti.
Nel 1966 Michel Sager la presenta in un importante personale nella Sala Comunale delle Esposizioni di Reggio Emilia.
Da metà anni Sessanta comincia a dipingere quadri di dimensioni maggiori come La Città del 1967, Cielo di notte e La Città IV, entrambi del 1968.
Nel 1970 Titina si trasferisce a Parigi, città che la madre aveva contribuito non poco a farle amare.
Nei dipinti di questo periodo (Fili nel cielo del 1969, Telefoto del 1970, La ville II del 1971, Nodo del cielo del 1972) la complessità della realtà urbana è espressa anche da elementi formali astratti.
Sono questi gli anni dei riconoscimenti e delle esposizioni internazionali: nel 1972 una mostra alla Fondazione Maeght di Saint Paul de Vence, nel 1975 la prima monografia scritta da Jean Louis Schefer che viene presentata a Milano in occasione di una personale al Fante di Spade.
Nel 1979 Jacques Dupin e Gilles Aillaud presentano una grande antologica del suo lavoro al Kunstamt Kreuzberg di Berlino, mentre nel 1981 l’artista espone con una personale al Grand Palais di Parigi.
Dalla metà degli anni Settanta Titina Maselli si dedica anche al teatro, progettando scene e costumi per opere di Stravinskij, Miller, Beckett, Pirandello, Schiller e Bruchner.
Nel 1980 firma per Sobel due pièces di Beckett al festival di Avignone, mentre nel 1981 prepara a Berlino una memorabile messa in scena di Sei personaggi in cerca d’autore per Klaus-Michael Gruber.
Nel 1983 Jean-Christophe Bailly presenta alla Galleria Giulia di Roma diciotto grandi dipinti dell’artista, alcuni dei quali composti di più pannelli, come New York del 1980, Partita di calcio del 1982 e Tramonto del 1983.
Nel 1984 partecipa per l’ultima volta alla Biennale di Venezia, invitata da Lorenza Trucchi.
Nel 1985 tiene una personale al Museo Comunale di Macerata, presentata da Enrico Crispolti, e nel 1988 una retrospettiva alla Fondazione Gulbenkian di Lisbona.
Negli anni Novanta, oltre a ulteriori collaborazioni teatrali, diverse mostre antologiche ripercorrono le varie fasi della sua opera: nel 1990 al Castello Estense di Mesola (Ferrara) con presentazione di Vittorio Sgarbi, nel 1994 all’Archivio della Scuola Romana dove vengono esposte opere dal 1947 al 1959, oltre che nel 1997 presso la Villa Foscarini- Rossi di Stra (Venezia) a cura di Marco Goldin.
Nel 2000 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi le conferisce la prestigiosa nomina di Accademica di San Luca. Titina Maselli muore a Roma il 21 febbraio del 2005.
Nel 2014 in occasione delle celebrazioni per il centenario del Coni, Bartolomeo Pietromarchi cura, presso la Casa delle Armi di Roma, Titina Maselli.
Essere in movimento, una grande mostra dedicata all’interesse dell’artista per lo sport, gli atleti e gli stadi, con opere quali Calciatore ferito (1953), Calciatori (1966), Boxeurs (2005); una tematica che, insieme all’interesse per la metropoli, per la modernità e il dinamismo, caratterizza l’intero percorso artistico di Titina Maselli.
